Assisi, è città che vive la tensione dell’accoglienza. Nel corso della sua storia si è dovuta confrontare con persone e gruppi che si trovavano a stabilirsi in città, arrivando da altri luoghi.
A scorrere i cognomi dei residenti si distinguono quelli autoctoni da quindici generazioni da quelli nati qui, ma da famiglie arrivate da fuori. Nonostante questa contaminazione che si è protratta nel corso della storia, Assisi non è stata mai città facile e flessibile. Sarà per una sorta di aristocrazia fatalmente segnata dal luogo di nascita sulla carta d’identità o per un orgoglio come di censo, non è mai stato scontato rompere la corazza identitaria degli assisani-assisani da parte degli assisani-acquisiti.
Eppure Assisi è cresciuta anche grazie all’apporto di quelli “de fora” che hanno portato opportunità di lavoro, idee di convivenza, spiritualità, qualità della vita.
Ad Assisi piuttosto che in un’isola ci si trova in un arcipelago dove altre distanze allontanano “quelli della montagna” dagli angelani, quelli della Zona Ivanchich, dai petrignanesi …
Altre isole sono costituite dai vari frammenti dei settori economici e commerciali.
Poi è arrivata la pandemia che oltre a seminare lutti e sofferenze ha penalizzato fortemente larga parte delle attività economiche di una città che vive di turismo.
Gli assisani si sono improvvisamente scoperti passeggeri nella stessa barca.
Chi sia angelano o di Palazzo, chi sia impegnato nella ricettività, nel commercio o nell’indotto, tutti hanno subito gli stessi contraccolpi.
E si è soprattutto vissuto, senza differenza la sofferenza sanitaria se non le sue estreme conseguenze.
Prima ancora che delle strade e della promozione turistica, bisognerebbe mettere mano a dare un’anima alla comunità cittadina rafforzandone un’identità forte e nello stesso tempo accogliente.
E se quella l’identità aperta diventa scelta di fondo, allora il programma dell’amministrazione è capace di ispirare a questa impronta la città in tutte le sue componenti.
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